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18 novembre 2023.

Da quasi un mese Israele massacra ogni giorno centinaia di uomini, donne e bambini di Gaza. Le manifestazioni a sostegno del popolo palestinese sono state vietate in Francia e in Germania, in quest’ultima con il consenso della sinistra ufficiale. In Italia, chiunque sostenga la lotta di liberazione del popolo palestinese rischia l’accusa di essere antisemita o terrorista. Ma le intenzioni genocide del governo israeliano diventano ogni giorno più chiare, lo scontento monta e le manifestazioni per la Palestina continuano a chiedere inutilmente alla comunità internazionale di fare qualcosa.

Che fare? La risposta di tutta la sinistra è più o meno la stessa: denunciare i crimini di Israele in modo che la comunità internazionale apra gli occhi e fermi il massacro. Ecco ad esempio Potere al Popolo, che è tra i principali organizzatori del corteo contro la guerra del 4 novembre:

“1) Fare girare informazione corretta, le immagini dalla Palestina che i nostri media non mostrano, costruire identificazione anche con la parte palestinese, presentata dai nostri media come ‘Altro’ e ‘nemico’ (...) 2) Fare pressione sul nostro Governo, sulle istituzioni internazionali, sulle strutture di potere USA in Italia per impedire che Israele entri nella Striscia e acuisca il massacro, chiedere un cessate il fuoco e un negoziato vero che ponga al centro l’esistenza e l’autodeterminazione del popolo palestinese. Si può fare con le mobilitazioni di piazza, con i social, con il mail bombing, con le campagne di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni. (…) 3) Se Israele dovesse entrare nella Striscia, scendere in piazza, occupare scuole e università, spingere per uno sciopero generale, per segnalare in tutti i modi la nostra contrarietà” (poterealpopolo.org, 18 ottobre).

Siamo realisti: far girare informazioni corrette, segnalare la propria contrarietà, fare mail bombing con i video dell’orrore che vivono i palestinesi non cambierà niente. Joe Biden, Olaf Scholz, Giorgia Meloni e la “comunità internazionale” di ladri e assassini imperialisti che domina il mondo e aiuta Israele nella sua impresa omicida, non cambierà strada perché gli “uomini di buona volontà” mostrano a tutti cosa succede. I governanti imperialisti sanno benissimo cosa sta succedendo e hanno deciso di tracciare uno spartiacque: Israele è un loro avamposto e lo difenderanno fino in fondo. Le mozioni dell’Onu, i camion di aiuti umanitari mandati col contagocce, i summit, servono solo a confondere le masse lavoratrici.

Chi vuole lottare per la Palestina deve abbandonare ogni illusione nei confronti dei governi imperialisti e dell’Onu. La loro posizione è chiara. Indignarsi e richiamare i governi a rispettare il “diritto internazionale” non serve a niente. Del “diritto internazionale” se ne sono sempre fregati (vedi Iraq o Afghanistan), usandolo come pretesto per difendere i loro interessi contro i popoli oppressi.

Quello che serve è mettere in campo azioni della classe operaia contro l’imperialismo! Ma come? La classe operaia organizzata è l’unica forza che può davvero sconfiggere la politica omicida degli imperialisti e fare un passo concreto per fermare l’attuale massacro. I sindacati devono intraprendere azioni concrete per fermare le spedizioni di armi a Israele. L’Italia è il terzo fornitore di armi ad Israele, prodotte in gran parte nelle fabbriche di Leonardo, dove lavorano migliaia di operai. Sono gli operai a costruirle. Sono loro a caricarle su aerei e navi e trasportarle. Bisogna organizzare scioperi contro la pulizia etnica condotta a Gaza con il consenso del governo italiano. L’Italia è piena di basi Nato e Usa da cui partono aiuti militari e che controllano il Mediterraneo per impedire qualsiasi azione contro Israele. I lavoratori devono boicottare l’uso delle basi, rifiutando di maneggiare le merci che entrano ed escono. Chiudere le basi Usa/Nato!

Il governo Meloni con una mano appoggia il massacro israeliano e la guerra fomentata dalla Nato in Ucraina, con l’altra bastona la classe operaia a colpi di tagli alla spesa pubblica, carovita e salari bloccati. Per difendere il popolo palestinese bisogna mettere alle corde il governo. Uno sciopero compatto contro il governo aiuterebbe la Palestina mille volte di più di qualsiasi implorazione al “cessate il fuoco” del Papa o di Landini. E aiuterebbe i lavoratori a strappare forti aumenti salariali e investimenti massicci in sanità, scuola e pensioni, mille volte di più delle chiacchiere del Pd sul “salario minimo” da fame di 9 euro lordi e altre briciole fiscali.

Ma dove stanno le azioni di boicottaggio delle armi e gli scioperi? Non ci saranno finché alla testa della classe operaia c’è della gente che appoggia l’imperialismo italiano. E siccome sostenere Israele e opporsi alla liberazione della Palestina, per la classe dominante italiana e i suoi padrini Usa è un dogma, i dirigenti sindacali non fanno niente per difendere Gaza dall’assalto genocida.

Come il movimento operaio italiano sostiene i sionisti

Ecco come funziona la cosa. A tirare le fila ci sono Joe Biden e i governanti imperialisti degli Usa. I partiti politici italiani, dalla destra meloniana al Pd di Ely Schlein, su una cosa sono d’accordo: l’alleanza atlantica e l’Ue sono sacre. Non perché siano “servi degli americani”, ma perché il capitalismo italiano è troppo debole per giocare un ruolo autonomo. Solo sotto l’ala degli Usa e della Germania, i principali gruppi capitalisti italiani possono ritagliarsi un “posto al sole” nello sfruttamento dei mercati neocoloniali. Le loro parole d’ordine sono: armare e finanziare l’Ucraina contro la Russia; sostenere Israele; congelare i salari e tagliare la spesa sociale per pagare il debito alle banche e scaricare il carovita sugli operai.

A questo punto si convocano le “parti sociali”: i portavoce capitalisti di Confindustria e i dirigenti traditori dei sindacati, che si impegnano a tenere al guinzaglio gli operai e concordano i limiti entro cui mantenere le proteste, che pur devono fare per calmare gli operai. In ogni caso, la politica della burocrazia sindacale è dettata dall’imperativo di mantenere competitivo il “sistema Paese” e garantire che i flussi di profitti restino al livello che i padroni considerano necessario.

I dirigenti della Cgil quindi deplorano “l’escalation di violenza” e il “rischio di espansione del conflitto” e chiedono che i “governi nazionali, l’Unione Europea e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite mettano in campo tutte le risorse necessarie per fermare le operazioni militari (…) che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite convochi una conferenza internazionale di pace per riconoscere lo Stato di Palestina come membro pieno dell’Assemblea delle Nazioni Unite, con confini certi, con piena sovranità e responsabilità, sulla base di quanto accordato tra le parti con gli Accordi di Oslo e riconosciuto dalle Risoluzioni delle Nazioni Unite”. (Assemblea generale della Cgil, 18 ottobre). Frasi ipocrite sulla pace, che non impegnano a nulla e servono solo a distogliere gli operai dalla lotta contro l’aggressione di Israele e contro i suoi padrini imperialisti. L’atteggiamento della Cgil è un sostegno al sionismo e all’imperialismo italiano e impedisce azioni operaie in difesa di Gaza!

Infine entrano in scena le sinistre sindacali e vari gruppi che si dicono comunisti. Invece di smascherare il blocco politico della burocrazia sindacale col governo a sostegno di Israele e il suo ruolo nel paralizzare le lotte, ne ripetono la propaganda in salsa marxista: la sinistra della Cgil (Radici del sindacato, intorno cui gravitano Partito comunista dei lavoratori, Sinistra anticapitalista e Sinistra, Classe, Rivoluzione), ha criticato lo “sbilanciamento (!)” della Cgil a favore di Israele, ma sostiene sempre che “per una politica di pace occorre innanzitutto fermare l’aggressione israeliana e poi tornare alle richieste dell’Onu del 2017”. (Progetto Lavoro, 24 ottobre 2023)

I compiti dei comunisti

Al contrario delle burocrazie confederali, Si Cobas e Usb si sono schierati apertamente dalla parte dei palestinesi dicendo che “si opporranno a qualsiasi spedizione di armi a Israele di cui vengano a conoscenza.” Molto bene! Mettere in campo con audacia la forza della classe operaia è la via per fermare il genocidio! Ma per farlo bisogna spazzar via l’ostacolo principale: il blocco tra la classe dominante filo-sionista e i dirigenti traditori della classe operaia. Questo è possibile solo se si conduce una battaglia senza quartiere, che contrapponga un programma di lotta rivoluzionaria del proletariato alla politica dell’indignazione liberale, al pacifismo che predica la possibilità di una pace giusta senza l’abbattimento dell’imperialismo. Da questo punto di vista la politica dei dirigenti del sindacalismo di base conduce in un vicolo cieco.

Il Si Cobas ha scritto: “una giusta soluzione della questione palestinese non potrà venire dalle grandi potenze o dai governi capitalisti della regione: ma potrà venire solo dalla lotta comune dei lavoratori del Medio Oriente, di tutte le etnie e religioni, con il sostegno dei lavoratori di tutto il mondo. Quando questa lotta unitaria arriverà, sarà ‘una leva per la liberazione di tutti i popoli diseredati e sfruttati del mondo’.” Giusto! Ma non basta augurarsi che questa lotta unitaria arrivi, per costruirla bisogna sconfiggere la politica dei dirigenti filocapitalisti. Invece Si Cobas e Usb mantengono un’unità politica di fondo con i pacifisti liberali. Ad esempio, hanno appoggiato la piattaforma della manifestazione del 28 ottobre, basata sulla solita litania: “Esigiamo dal Governo italiano: l’interruzione degli accordi militari con Israele; la fine del genocidio a Gaza; che si adoperi per lo smantellamento delle colonie, dell’occupazione e del regime di apartheid; aiuti umanitari; il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese; il rispetto del diritto internazionale in Palestina”.

I comunisti devono smascherare gli attuali capi dei sindacati, in particolare quelli di sinistra, che chiedono alle potenze imperialiste di mediare la pace o il cessate il fuoco. Un cessate il fuoco non risolverà nulla: avverrà in condizioni dettate da Israele e dagli imperialisti, i palestinesi continueranno ad essere oppressi e le cause del massacro continueranno ad esistere. E i palestinesi saranno oppressi finché esisterà lo Stato sionista. Solo una soluzione rivoluzionaria, ossia l’alleanza della classe operaia ebraica israeliana con il popolo palestinese contro l’imperialismo e i suoi tirapiedi sionisti, può portare una pace duratura. (Per la nostra posizione sull’attuale conflitto vedi pagina 5)

I comunisti devono lottare all’interno del movimento operaio e del movimento per la liberazione della Palestina per costruire un polo antimperialista contrapposto agli attuali dirigenti filocapitalisti. Servono dei sindacati di massa che uniscano tutta la classe operaia e serve che questi sindacati siano guidati da rivoluzionari, non da agenti della classe dominante. Per questo bisogna costruire un partito che guidi la lotta del proletariato. Nessuna unità con i sostenitori dell’imperialismo e dello Stato sionista! L’unità con loro è unità con gli assassini dei palestinesi. In Italia molti gruppi si professano comunisti. Perché non si battono per questi compiti cruciali?

  • Dare un contenuto rivoluzionario al movimento sindacale, sostituendo gli attuali dirigenti liberali e filo-imperialisti con i marxisti.
  • Smascherare coloro che spingono la classe operaia a sostenere le diplomazie imperialiste. La classe operaia non si mobiliterà come forza indipendente se le si insegna la fiducia nelle agenzie imperialiste.
  • Contrastare chi sostiene che l’unica cosa da fare è solidarizzare incondizionatamente con la resistenza guidata da Hamas (o qualche ala di Fatah). Invece bisogna battersi perché la lotta per la liberazione della Palestina sia guidata dai comunisti sulla base di un programma operaio internazionalista. E’ questa l’unica strada che può portare ad un’alleanza tra operai israeliani e popolo palestinese volta al rovesciamento rivoluzionario dello Stato sionista, all’unione tra le masse operaie e contadine del Medio Oriente e dei Paesi imperialisti per sconfiggere il dominio imperialista nel mondo.