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Dal 7 ottobre 2023 Israele ha intrapreso un’offensiva per schiacciare i palestinesi e paralizzare qualsiasi resistenza al genocidio sionista nella regione. Attaccando l’Iran, Netanyahu ha preso di mira un Paese che rappresenta il contrappeso più significativo di Israele e una storica spina nel fianco dell’imperialismo statunitense. Bombardando l’Iran, gli Usa hanno messo la propria potenza militare a disposizione del loro cane da guardia israeliano. L’attacco degli Stati Uniti aveva il duplice scopo di rafforzare il controllo sul Medio Oriente e di inviare un messaggio al mondo: anche se l’impero americano è in declino, ogni resistenza sarà schiacciata con la forza.

Da parte di Israele e degli Stati Uniti, è stata una guerra di aggressione reazionaria, un’estensione dell’assalto genocida di Netanyahu contro Gaza, con cui intendevano dare carta bianca ai macellai sionisti nella regione e disarmare e piegare l’Iran al volere degli imperialisti. Da parte sua l’Iran non ha combattuto per opprimere nessuno. Ha intrapreso una guerra giusta e necessaria per difendere il Paese dall’attacco delle potenze che opprimono e dominano la regione. Una vittoria dell’Iran avrebbe ostacolato il massacro dei palestinesi da parte di Israele e indebolito il giogo degli Stati Uniti e di Israele sul Medio Oriente. Avrebbe dato un potente impulso alla lotta degli oppressi in tutto il mondo, compresi gli stessi lavoratori statunitensi.

Ora è in vigore un cessate il fuoco instabile, in cui tutti sostengono di aver vinto ma che non ha risolto nessuno dei conflitti sottostanti. Israele sembra aver inflitto danni maggiori all’Iran, ma non è riuscito a eliminarlo in quanto potenza regionale. Gli Usa hanno dato una prova di forza, cercando di costringere l’Iran ad accettare un accordo di pace umiliante che avrebbe disarmato il Paese e screditato il regime. Ma l’Iran non ha capitolato. Ha inflitto danni a Israele senza modificare l’equilibrio delle forze nella regione. La situazione è di stallo.

Una cosa è chiara: il movimento dei lavoratori non ha avuto alcun peso in questo conflitto in nessuna parte del mondo. È significativo che l’opposizione interna al movimento Maga abbia avuto più peso del movimento operaio. In Israele e negli Stati Uniti, i leader sindacali hanno sostenuto la guerra dei propri governanti o sono stati zitti. Quel poco di opposizione che c’è stata nel mondo è stata dominato dal pacifismo. È un vero segno di debolezza il fatto che gli imperialisti americani abbiano potuto scendere in guerra senza che il movimento operaio si facesse sentire.

Cosa avrebbero dovuto fare i marxisti per portare avanti la lotta rivoluzionaria in queste circostanze? Bisognava lottare affinché la classe operaia diventasse un fattore determinante. In primo luogo, ciò significava prendere una posizione corretta sulla guerra. Il marxismo rivoluzionario si è sempre schierato con le nazioni oppresse contro le grandi potenze predatrici. In questa guerra il punto di partenza indispensabile doveva essere sostenere la vittoria dell’Iran e la sconfitta degli Stati Uniti e di Israele. Ciò include la difesa del diritto dell’Iran alle armi nucleari, una misura fondamentale di autodifesa per i paesi oppressi. Ma bisognava anche lottare per la mobilitazione indipendente della classe operaia, contro quelli che predicavano la fiducia nei BRICS, nel regime iraniano o in qualsiasi altra forza capitalista per combattere l’imperialismo.

Da questo punto di vista, la sinistra marxista ha in gran parte fallito. Alcune tendenze, come l’Inter-national Socialist Alternative (Isa), hanno capitolato direttamente all’imperialismo, mettendo sullo stesso piano gli Stati Uniti e la loro vittima. Altre, come l’International Communist Tendency, sono giunte allo stesso risultato ricorrendo ad argomenti di estrema sinistra contro l’alleanza con qualsiasi Stato borghese e negando la fondamentale distinzione tra nazioni oppresse e oppressori. La maggior parte dei gruppi marxisti non sono stati apertamente social-sciovinisti: si sono opposti alla guerra e hanno condannato Israele e gli Usa, rifiutando però di difendere l’Iran. Alcune organizzazioni si sono schierate dalla parte dell’Iran, appoggiandone però anche il suo regime reazionario.

In tutto il mondo, poche tendenze hanno assunto una posizione corretta di difesa dell’Iran sul piano della lotta di classe. Ma la maggior parte lo ha fatto solo sulla carta. Affinché la classe operaia potesse emergere come fattore determinante in questa situazione, non bastava assumere una posizione formalmente ortodossa. Bisognava lottare affinché il movimento operaio agisse di conseguenza.

I compiti dei marxisti in Iran

L’argomento principale a livello internazionale contro la difesa dell’Iran nella guerra è che il regime opprime brutalmente la popolazione del Paese. Ovviamente questo è vero. Questo è un problema soprattutto della sinistra iraniana, che commette due errori a riguardo. Uno è di rifiutare la difesa dell’Iran in questa guerra perché il regime è reazionario e oppressivo e una vittoria lo rafforzerebbe. Questo è un errore che commettono i comunisti dell’organizzazione Manjanigh. La sconfitta dell’Iran da parte degli Stati Uniti e dello Stato sionista di Israele non sarebbe solo una sconfitta per il regime, ma un colpo catastrofico per tutti coloro che vivono in Iran: basta guardare cosa hanno significato i cambiamenti di regime orchestrati dagli Stati Uniti in Iraq, Afghanistan, Libia e Siria. Una vittoria degli Stati Uniti e dello Stato sionista metterebbe la lotta del movimento operaio in una posizione molto peggiore.

Il fatto che la vittoria dell’Iran rafforzi o meno il regime dipende dal ruolo della sinistra marxista. La cosa che aiuta di più il governo iraniano è proprio che la sinistra resti a guardare senza far niente mentre il Paese è sotto attacco: in questo modo si lascia al regime dei mullah il titolo di unica forza antimperialista. Certo, se la sinistra si limitasse a piegare le sue bandiere e fare il tifo per il regime, non farebbe che rafforzarlo. Per minarlo davvero, serve che la sinistra marxista porti avanti una propria strategia di difesa del Paese, che dimostra ad ogni passo quanto la natura reazionaria del regime ostacola questo compito.

Il regime iraniano trae la sua autorità dall’opposizione all’imperialismo e dall’atteggiarsi a difensore degli sciiti che sono una minoranza oppressa nell’intera regione. A partire dal rovesciamento dello Scià, fantoccio degli Usa, nel 1979, il regime ha continuato a sfidare gli interessi americani e sionisti. L’ondata di unità nazionale che ha attraversato l’Iran dopo gli attacchi israeliani e statunitensi dimostra la profondità di questo sentimento. Rifiutandosi di difendere l’Iran, la sinistra si è solo alienata le masse che l’hanno contraccambiata col disprezzo.

La bancarotta di questa posizione è molto chiara se ne consideriamo gli effetti concreti. Cosa significa per i lavoratori iraniani opporsi alla guerra? Significa cercare attivamente di fermare le operazioni militari del governo, ad esempio bloccando la produzione e il trasporto di armi. Sarebbe una mossa totalmente reazionaria che aiuterebbe solo Israele e gli Usa a dominare il Paese. Al contrario, negli Usa e in Israele, l’azione dei lavoratori per fermare il flusso di armi sarebbe un’azione progressista.

Il secondo errore che ha commesso la sinistra iraniana è quello di rinunciare ad opporsi al regime durante la guerra. Affidarsi al regime per difendere il Paese è suicida, come dimostra il periodo successivo al 7 ottobre. Per tutto il periodo in cui Israele ha devastato Gaza e la Cisgiordania, decapitato Hezbollah e invaso la Siria, Teheran non è stata in grado di organizzare nessuna seria opposizione. Questo ha isolato e indebolito l’Iran di fronte all’attacco statunitense e israeliano.

La natura reazionaria del regime iraniano mina la sua opposizione all’imperialismo. Poiché si basa sull’élite del Paese, chiamare alla lotta le masse povere minaccia i suoi privilegi materiali. Il suo carattere settario sciita respinge le donne e le minoranze religiose, e il nazionalismo per-siano lo rende nemico dei popoli curdo, baluco e azero, che sono costretti con la forza a far parte dell’Iran. Ciò ha spinto molti gruppi di donne e curdi a sostenere Israele nella guerra o a rifiutarsi di difendere l’Iran dall’aggressione, come hanno fatto Komala, il Partito comunista iraniano e la socialista-femminista Frieda Afary.

Nel contesto attuale, i marxisti in Iran devono lottare per mobilitare i lavoratori e i contadini persiani, le donne e le minoranze nazionali e religiose affinché difendano il Paese sulla base di misure che rafforzino gli oppressi. Tutte le migliori misure per difendere il Paese richiedono una lotta contro il regime. Difendere il diritto dei curdi e delle altre minoranze nazionali a formare i propri Stati separati è la strada più sicura per costruire un’alleanza con i combattenti curdi, baluchi e azeri che sono profondamente impegnati nella liberazione dei loro popoli. Chiedere la fine della religione di Stato e la libertà dal velo minerebbe gli elementi filoimperialisti nel movimento delle donne e coinvolgerebbe le lavoratrici nella lotta antimperialista. Il controllo dei lavoratori sulle fabbriche e sulla terra e la cancellazione del debito dei contadini darebbero un enorme impulso alla difesa del Paese. Queste misure sarebbero un faro per i popoli del Medio Oriente, così come per i lavoratori del mondo imperialista.

In Iran, il partito Tudeh ha fallito il test sia sulla difesa del Paese che sulla difesa degli oppressi. Ha scritto dichiarazioni in cui invocava la difesa dell’Iran, ma anche una dichiarazione congiunta con il Partito comunista israeliano che non prendeva nemmeno posizione nella guerra e condannava l’azione militare e l’armamento nucleare di entrambe le parti (“Fermate le uccisioni! Ponete fine alla guerra adesso!”, solidnet.org, 17 giugno). Anziché strappare le masse iraniane al regime, il Tudeh ha lasciato ai mullah la guida della lotta antimperialista. Allo stesso tempo, il Tudeh ha insistito sulla difesa dell’“integrità territoriale della patria”, capitolando così al regime sciovinista persiano e sostenendo la detenzione forzata delle minoranze nazionali all’interno dell’Iran. La sinistra iraniana deve cambiare strada!

Capitolazione socialsciovinista in Occidente

Quando l’amministrazione Trump ha dichiarato guerra all’Iran, l’opposizione negli Usa è stata minima. La principale obiezione del Partito democratico al bombardamento dell’Iran era che non fosse stato debitamente autorizzato dal Congresso. I politici liberali come Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez hanno fatto causa comune con l’opposizione all’interno del Maga, sostenendo che una nuova e costosa “guerra senza fine” avrebbe compromesso gli interessi più ampi degli Usa. I dirigenti sindacali o hanno applaudito il bombardamento (come Harold Daggett dell’Ila) o sono stati zitti (come Shawn Fain dell’Uaw). Il problema di fondo è che appoggiano tutti l’impero statunitense e concordano che bisogna disarmare e sottomettere l’Iran.

Il compito dei rivoluzionari negli Stati Uniti in questo contesto era di contrastare l’aggressione schierandosi per la vittoria dell’Iran e la sconfitta dei “propri” governanti imperialisti. Come spiegò già Lenin durante la Prima guerra mondiale:

“La classe rivoluzionaria, nella guerra reazionaria, non può non desiderare la disfatta del proprio governo, non può non vedere il legame esistente tra gli insuccessi militari del governo e la maggiore facilità di abbatterlo. (…) I socialisti devono spiegare alle masse che per esse non c’è salvezza senza l’abbattimento rivoluzionario dei ‘propri’ governi, e che le difficoltà di questi governi nell’attuale guerra devono essere sfruttate appunto a questo fine”. (Il socialismo e la guerra, 1915)

Affinché la classe operaia potesse emergere come fattore determinante in questo conflitto, bisognava creare una frattura tra i dirigenti sindacali, liberali e socialdemocratici che sostengono l’ordine imperialista dominato dagli Usa e i lavoratori, che sono costretti a pagare il prezzo necessario a mantenere il dominio mondiale degli Usa. Cosa ha fatto invece l’estrema sinistra? L‘International socialist alternative ha scritto:

“La strada da seguire è quella della lotta di massa del-la classe operaia contro il capitalismo israeliano e l’im-perialismo statunitense, e contro i regimi capitalisti che sfruttano e reprimono i lavoratori, le donne e le nazionalità e minoranze oppresse in tutta la regione”. (La guerra contro l’Iran si intensifica e Trump si avvia verso l’intervento” internationalsocialist.net, 18 giugno)

Nascondendosi dietro l’ovvietà per cui l’unica soluzione è la lotta di massa della classe operaia, l’Isa equipara gli Stati Uniti, la potenza imperialista dominante nel mondo, all’Iran, un paese che è stato devastato dall’imperialismo statunitense. La conclusione di questa analisi è che l’Isa non prende posizione. L’Isa continua con parole altisonanti sull’unità internazionale della classe operaia:

“Le organizzazioni della classe operaia devono unirsi nella lotta al di sopra dei confini e delle comunità e lottare per un futuro comune libero dall’occupazione e dall’imperialismo, con pieni diritti democratici e nazionali, e con la proprietà e il controllo pubblico democratico della ricchezza e delle risorse”.

Ma le organizzazioni della classe operaia non si uniranno mai “al di sopra dei confini e delle comunità per lottare per un futuro comune”, a meno che il movimento operaio nei paesi imperialisti non prenda attivamente posizione contro le devastazioni e la schiavitù che la “propria” classe dominante impone al Sud del mondo.

I pacifisti confondono le acque

Minacciando di trascinare il Medio Oriente in una guerra regionale, gli attacchi di Israele e Stati Uniti contro l’Iran hanno rappresentato uno shock sgradito per i governanti degli altri Paesi imperialisti occidentali e del Giappone. Questi hanno rilasciato dichiarazioni altisonanti a favore della pace, della distensione e dei negoziati. Ma dato che i leccapiedi di queste potenze imperialiste dipendono totalmente dagli Stati Uniti se vogliono un posto al tavolo delle trattative, obbediscono a bacchetta agli Usa. Per questo, anche se all’inizio si sono opposti all’attacco all’Iran, hanno finito col lodare i bombardamenti di Trump come un gesto di “pace”.

In questi Paesi, il pacifismo che domina tra i liberali e i dirigenti sindacali riflette l’ipocrisia della classe dominante. Per gli imperialisti, schierarsi con l’Iran è una linea rossa. E il movimento per la palestina e le proteste contro la guerra in Iran si sono ben guardati dall’oltrepassarla. Cosa ha fatto l’estrema sinistra? La maggior parte ha ripetuto gli slogan dei liberali: “Fermare la guerra”, “Giù le mani dall’Iran” e disarmo nucleare. Questo ha nascosto il punto cruciale: che bisognava schierarsi con l’Iran.

L’Internazionale comunista rivoluzionaria si presenta come totalmente dedita alla lotta per la rivoluzione. Come se l’è cavata nella prova della guerra? Dopo aver prodotto una serie di lunghi articoli analitici che oscuravano il vero significato della guerra, dieci giorni dopo l’inizio del conflitto l’Icr ha finalmente pubblicato una dichiarazione in cui riconosceva:

Il vero scopo di questa guerra non è la stabilità, la pace, la democrazia o la distruzione delle armi nucleari. E’ il diritto indiscusso della classe dirigente israeliana e dei suoi sostenitori occidentali di fare ciò che vogliono nella regione: intimidire, bombardare e invadere chiunque, ovunque, in qualsiasi momento, senza incontrare resistenza”. (Abbasso la guerra contro l’Iran! Abbasso l’imperialismo statunitense!”, marxist.com, 23 giugno)

Da ciò hanno giustamente concluso: “Il nemico principale è in casa nostra, la lotta per la liberazione delle nazioni oppresse equivale alla lotta contro la classe capitalista in Occidente”. Ma l’Icr non ha tratto la conclusione necessaria da questa analisi: schierarsi con l’Iran nella guerra. Solo il 30 giugno, quasi una settimana dopo il cessate il fuoco, l’Icr ha annunciato: “I comunisti rivoluzionari sono pienamente dalla parte dell’Iran, anche se non proviamo simpatia per il regime politico degli ayatollah, un regime reazionario e anti-operaio”.

Durante tutto il periodo in cui gli Stati Uniti e Israele erano in guerra, l’Icr non si è schierata con l’Iran. Non si tratta semplicemente di modi diversi di esprimere la stessa idea. Nei paesi occidentali in cui è concentrata l’Icr, un’ala della borghesia imperialista ha cercato di sfruttare i legittimi sentimenti pacifisti delle masse per mobilitare il sostegno ai propri interessi predatori. Intervenire come rivoluzionari significava smascherare l’ipocrita pacifismo della classe dominante e mostrare alle masse che la strada verso la pace passava attraverso l’opposizione ai propri governanti. Ciò poteva significare solo la vittoria dell’Iran e la sconfitta degli Stati Uniti e di Israele.

Gli slogan principali dell’Icr durante la guerra sono stati: “Giù le mani dall’Iran” e “Abbasso i guerrafondai”, slogan che si adattavano alla corrente del pacifismo filoimperialista che va dai burocrati sindacali in Gran Bretagna a Bernie Sanders e AOC negli Stati Uniti. L’Icr ha scritto pagine e pagine contro Trump, Netanyahu e i guerrafondai, ma non ha avuto nulla da dire contro l’inganno del pacifismo borghese. Aggiungere degli slogan come “Abbasso l’imperialismo Usa” o “Rivoluzione contro la classe dei miliardari” non traccia una linea di demarcazione, perché sono rivendicazioni astratte senza implicazioni pratiche. In questo modo l’Icr ha contribuito a costruire un ponte tra l’ala della borghesia che si opponeva alla guerra e la sinistra radicale.

Per intervenire da rivoluzionari nella guerra non basta invocare la rivoluzione o sventolare le bandiere rosse: bisogna lottare per spezzare la presa sul movimento operaio dei sostenitori dell’imperialismo e sottrarre il movimento palestinese ai liberali. L’intervento dell’Icr nella guerra non è stato rivoluzionario: ha contribuito a confondere le acque.

Il Sud globale

Una sconfitta decisiva dell’attacco statunitense-israeliano all’Iran avrebbe fatto avanzare direttamente la lotta per la liberazione nazionale in tutto il Sud del mondo. In questo contesto, il compito dei marxisti era quello di mobilitare le masse su questa base. Uno dei principali ostacoli a questo è il doppio gioco dei leader dei paesi dipendenti. Dal mondo arabo all’America Latina, la maggior parte dei governi ha condannato la guerra. Ma la maggior parte resta strettamente alleata agli imperialisti americani e non ha mosso un dito contro l’offensiva Usa/sionista.

In tutto il Sud del mondo, gran parte della sinistra guarda ai BRICS, dominati da questi stessi leader, come alternativa al dominio statunitense. Se la Russia o la Cina avessero sostenuto il loro alleato iraniano in questa guerra, ad esempio proteggendo l’Iran con il loro ombrello nucleare, ciò avrebbe potuto avere un impatto decisivo sull’equilibrio delle forze nella regione, respingendo l’offensiva di Netanyahu e indebolendo il suo regime, oltre a minare il potere degli Stati Uniti. Ma la Russia di Putin e la Cina di Xi non hanno fatto nulla del genere. Al contrario, Putin ha colto l’occasione per espandere la sua conquista reazionaria dell’Ucraina, mentre Xi ha negoziato nuovi accordi commerciali promettendo di non interferire negli affari degli altri Paesi.

Sia Putin che Xi hanno rifiutato di compiere un solo passo per difendere l’Iran, invocando invece la pace, la distensione e il rispetto del diritto internazionale. Questa capitolazione totale davanti all’imperialismo statunitense dimostra la totale impotenza dei BRICS come alternativa. Ad ogni passo, questo blocco è ostacolato dalla ricerca dei propri interessi ristretti e reazionari da parte dei suoi leader e dalla loro riluttanza ad alienarsi gli Stati Uniti.

Un altro esempio di questa fiducia nella comunità internazionale è fornito dal Partito comunista delle Filippine (PcF). Riflettendo gli impulsi salutari della base del partito, il PcF ha insistito:

“I popoli di tutto il mondo, compreso il popolo filippino, devono stare al fianco del popolo iraniano, così come del popolo palestinese, nella lotta contro la macchina da guerra statunitense-israeliana, che imperversa in Medio Oriente per costringere le nazioni a piegarsi al suo potere e a rinunciare alla loro libertà... Devono combattere con determinazione le guerre imperialiste degli Stati Uniti e rimanere saldi e uniti nel chiedere la fine dell’intervento militare e della presenza militare degli Stati Uniti nel Paese”. (Unitevi e condannate con forza i bombardamenti statunitensi in Iran, 22 giugno)

Era giusto invitare le masse a venire in aiuto dell’Iran lottando contro gli imperialisti e il governo filippino. Tuttavia, il PcF ha minato questo giusto appello presentando un quadro falso della situazione, dando l’idea che fosse possibile un esito progressista della guerra senza il coinvolgimento delle masse. Ha scritto:

“Israele e gli Stati Uniti sono ora sempre più isolati dalla comunità internazionale delle nazioni. Dall’Europa all’Asia, c’è un appello unanime affinché Israele cessi i suoi attacchi contro l’Iran. Di fronte alla diffusa opposizione internazionale e locale, Trump sta ora facendo marcia indietro sul suo previsto coinvolgimento diretto nella guerra e sul lancio di bombe da 14 tonnellate sull’Iran”. (Condannare la guerra di aggressione degli Stati Uniti e di Israele contro l’Iran, 21 giugno)

Il giorno dopo la pubblicazione di questo articolo, Trump ha sganciato le sue bombe da 14 tonnellate. Non si tratta di un semplice errore di analisi del PcF. Il contenuto politico della sua dichiarazione era quello di placare le masse invece di spingere avanti la loro lotta, con l’illusione che Trump potesse essere costretto a fare marcia indietro dalla pressione della “comunità internazionale delle nazioni”, composta dalle potenze reazionarie occidentali che alla fine hanno sostenuto Trump e dai governanti del Sud del mondo che si sono arresi a lui.

Qualunque cosa dica ora la direzione del partito sulla mobilitazione delle masse per combattere l’impe-rialismo, la sua politica, fin dalla sua fondazione, è stata costantemente quella di sostenere l’ala liberale della borghesia filippina, devota sostenitrice dell’imperialismo statunitense. Questa strategia ha portato il movimento antimperialista in un vicolo cieco, nelle Filippine e in molti luoghi del Sud del mondo. Per andare avanti, è necessario rompere l’alleanza tra le masse e i lacchè dell’imperialismo. Come affermato nelle Tesi sulla questione orientale del Comintern del 1922, “soltanto una logica linea rivoluzionaria, la quale si proponga di trascinare nella lotta attiva vastissime masse, e l’imprescindibile rottura con tutti i fautori di una riconciliazione con l’imperialismo per mantenere il proprio dominio di classe, possono consentire alle masse oppresse la vittoria”.

In reazione ai partiti come il PcF che capitolano alla borghesia del Sud globale, varie tendenze, come il Forum marxista di Manila, rigettano la stessa difesa dell’Iran come una capitolazione al nazionalismo. Questo li pone in opposizione al giusto istinto delle masse di lotta contro l’imperialismo e i suoi agenti sionisti. Anche in questo caso, le Tesi del Comintern sottolineano come “Il rifiuto dei comunisti delle colonie di prender parte alla lotta contro l’oppressione imperialista, con il pretesto di ‘difendere’ esclusivamente gli interessi di classe non è altro che opportunismo della peggior specie, che può soltanto screditare la rivoluzione proletaria in Oriente”.

Centrismo o lotta rivoluzionaria

Poche tendenze a livello internazionale hanno adottato una posizione formalmente rivoluzionaria sulla guerra. Anche se abbiamo delle differenze importanti con la Tendenza comunista rivoluzionaria internazionale, questa spicca per essersi battuta per una posizione di principio sulla guerra in seno alla sinistra e al movimento operaio. Gli altri gruppi in gran parte non sono stati in grado di passare da commenti astratti ad un intervento attivo che puntasse a riorientare la sinistra e il movimento operaio. Un esempio è dato dalla Frazione trotskista (Ft).

La posizione iniziale di questa tendenza è stata di neutralità nella guerra, in cui hanno capitolato all’imperialismo presentando “Israele, il regime iraniano e le potenze imperialiste” come altrettanto reazionarie (Israele attacca l’Iran: il Medio Oriente sull’orlo di una guerra totale, leftvoice.org, 15 June). Soltanto il giorno successivo, la sezione francese della Ft ha pubblicato una dichiarazione in cui si schierava con l’Iran.

E’ un bene che la Ft abbia cambiato posizione schierandosi con l’Iran, è un passo nella direzione giusta. Ma cosa hanno fatto per mettere in pratica questa posizione? Fino ad oggi, la loro sezione americana non ha mosso alcuna critica ai burocrati sindacali, ai liberali o ai gruppi di sinistra che rifiutano di difendere l’Iran. Il rifiuto della Ft di combattere nel concreto per la difesa dell’Iran ha reso completamente vuota la loro posizione.


Lo scontro tra Usa/Israele e l’Iran non è finito. Non è stato risolto nulla. Il caos continua a minacciare la regione e il mondo. Decisi a mantenere il proprio impero indebolito, i governanti Usa mettono sotto torchio il mondo e la guerra contro l’Iran è un presagio di quello che ci aspetta. Il fatto che il movimento operaio non abbia svolto alcun ruolo contro la guerra di Israele e Usa deve dare la sveglia alla sinistra marxista. E’ importante trarne le lezioni e farlo in fretta!

In tutto il mondo, serve una lotta per separare il movimento operaio dagli elementi filo-imperialisti e da quelli che li conciliano. E’ la precondizione essenziale affinché il proletariato possa emergere come forza rivoluzionaria. Come ha sottolineato Lenin nella sua lotta per costruire un’Internazionale rivoluzionaria: “L’unità con i socialsciovinisti è l’unità con la ‘propria’ borghesia nazionale che sfrutta altre nazioni. E’ la scissione del proletariato internazionale” (L’opportunismo e il fallimento della Seconda internazionale, gennaio 1916).